Don Chisciotte in Sicilia

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I libri scelti da Andrea Salonia

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Forse basterebbe una sola frase per racchiuderne la poesia struggente e al tempo sardonica; eccola: “La case su ‘na cosa, mi arrispose, ‘a vita n’antra”.

Ma solo forse, perché la duplicità di queste parole scritte in siciliano – che, penso io, ascoltate nella lingua della meravigliosa isola, con la bocca, le labbra, il naso e gli occhi azzurri di quella Sicilia me le immagino ancor più efficaci e sinuose – sono appunto parole che pervadono l’intero romanzo di Roberto Mandracchia, Don Chisciotte in Sicilia, uscito per i tipi di minimum fax (che, detto tra le righe, son proprio capaci di scegliere il nuovo, il fresco, l’irriverente!).

Ma solo forse. Perché le avventure di Lillo Vasile, professore in pensione, anziano senza essere uno dei nostri odierni grandi anziani, avvolto suo malgrado dalla frenesia folle dell’essere altro da sé e niente di meno che un famosissimo personaggio di altri romanzi in blu – di cui, per amor della suspense, non sveliamo il nome, non dell’uomo, non dei libri – di una medesima Sicilia, con un’altra arrischiosa professione, dunque, leggendole quelle avventure mi son suonate molto come il tentativo di ciascuno di vivere una vita altra, di risolvere i problemi, di dar pace all’inquietudine, di dar risposta alle domande, di dissentire, di combattere i soprusi, di dar battaglia all’ingiustizia, di far valere la propria voce, di accomodare i torti, di pareggiare le diversità o magari soltanto di non vederle, di fumarsi una sigaretta contro ogni divieto, di farsi una nuotata lontano in mare, a discapito del rischio, lasciandosi la riva alle spalle, senza mai voltarsi. Mai, mai, mai. E tutto questo lancia in resta, contro i mulini a vento, proprio come quel Don Chisciotte, quello là del celebre romanzo, ma con la lingua della Trinacria, splendidamente attraversata dai suoi contrasti, crogiolo di anime tanto differenti, di colori e di usanze, di luci e di ombre, di montagne e di mare.

Roberto Mandracchia ha scritto un romanzo molto divertente, e di una durezza, di una ferocia, di una ironia così sottili da far sorridere ridere riflettere e piangere insieme. Non so se fosse l’intendimento dello scrittore, ma provate a leggerlo senza che questo accada. Non amo le pagine scritte in una lingua che mischi il dialetto – meglio, e nessuno me ne abbia, la lingua del luogo e delle ambientazioni – con il nostro amato italiano. Soprattutto dopo che quel famoso Andrea di Sicilia scrisse i suoi romanzi, inventò i suoi personaggi, allocò le sue vicende giudiziarie, amorose e di costume in un contesto geo-sociale dove l’uso del dialetto commisto alla lingua del sì era quasi d’uopo. Però in Don Chisciotte di Sicilia questo alternare momenti di lingue diverse è funzionale, non necessario a mio avviso, ma utile. Per odorare le cose, per ascoltarle, per toccarle quasi. Quindi, Mandracchia riesce anche in questo.

Ciò che più mi è piaciuto, rattristandomi al pari – ed è bene perché, per come son fatto, le sensazioni con un retrogusto amaro mi rimangono meglio appiccicate alla pelle e nella memoria – è il racconto delicato della insania, della mattana, chiamiamola nel modo corretto: della demenza. Di quanto occorre quando la memoria ci lascia. Di quanto ci capita di dire, di fare e di immaginare quando i numeri perdono il loro giusto ordine. Delle frasi sconnesse che pronunciamo quando ci par logico che il sole al mattino l’abbia portato in cielo la mamma quando ci risvegliamo e il caffè della notte alle tre lo abbiamo messo sul fuoco la nostra maestra delle elementari, o cose così. Senza senno, per quelli di noi che stanno attorno; con pieno raziocinio e giustezza per la testa di chi le vive.

Ne ho già parlato in una delle ultime Pillole del Doc (Nuoto libero), ma il tema della mente che fugge, dei pensieri che se ne vanno a ramengo, del patrimonio culturale, esperienziale, emotivo che ci potrebbe abbandonare – lentamente, o in modo drammaticamente subitaneo – che noi ci si accorga, oppure e più spesso, senza che se ne abbia davvero contezza e comprensione – ahimè tutto questo mi spaventa così tanto, mi rattrista e al tempo mi intenerisce molto.

Se ne può scrivere in modi tanto diversi (la Otuska, appunto lo aveva fatto a suo modo; la Di Pietrantonio ne aveva raccontato con Mia madre è un fiume, e la mente della mamma sfuggiva come l’acqua, rapida, e così altri ancora); Roberto Mandracchia lo narra in modo irriverente, divertente, triste e provocatorio, e tutte cose insieme. Bello, bene.

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Roberto Mandracchia, Don Chisciotte in Sicilia, Minimum Fax, Roma, 2022

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