Lo scaffale degli ultimi respiri

http://www.booktomi.com/wp-content/uploads/2025/01/libro-valerio-5.png

“VENERDÌ RE-VERSO

“Poi scoppiai a piangere. Poi si scoppia sempre a piangere, pensai.”

Raccontare la vita parlando della morte: questo fa Aglaja Veteranyi per centoventinove struggenti, poetiche pagine.

La vita dei circensi ha da sempre un fascino contraddittorio che unisce la libertà del vagabondaggio alla labilità delle relazioni; una vita fatta di trucchi magici e fughe, stupori e sparizioni. Regole diverse, un volteggiare nello spazio e nel tempo che ammalia e atterrisce nello stesso momento. Entriamo nel circo non dai fasti del tendone ma dalla polvere dei baracconi: il legame con la terra d’origine si fa mitologico, la storia famigliare si sparpaglia, la ricerca di radici una chimera sfuggente ma perseguita con tenacia.

Il racconto della morte della zia è un mosaico di gesti, volti e ricordi che si compone lungo le pagine senza potersi mai dire compiuto. Le emozioni di chi narra appaiono come surreali modificazioni fisiche, metafore corporee di una precisione schiacciante – “Le mie braccia si staccarono dalle articolazioni e caddero a terra, accanto alle scarpe blu scuro con le stelle d’argento.” – oppure come sogni, paradossali accadimenti onirici che si installano nel corso degli eventi senza soluzione di continuità, come quadri o finestre, e che appartengono alla vita non meno degli altri personaggi: “L’uomo si tolse di bocca un coltello, ritagliò una nuvola dal cielo e l’appoggiò sul tavolo”.

Il girotondo di terre che Veteranyi attraversa ha una forza centripeta che riaccorpa il senso nel nucleo della famiglia e in una patria adottiva, la Svizzera, che noi forse mal accosteremmo alla follia scintillante di un circo. Un moto uguale e contrario fatto di parole e cimiteri tira le anime verso la Romania, le sue sofferenze, la sua bislacca geografia sentimentale.

Sapere che l’autrice si è tolta la vita pochi giorni prima dell’uscita di questo libro getta un riverbero malinconico sulla nostra lettura, in qualche modo intensifica il peso delle parole e dei legami, così come la morte stessa fa con lo scorrere dei nostri piccoli giorni. Nel 1999, qualche anno prima, arrivava alle stampe “Perché il bambino cuoce nella polenta” (ed. italiana Keller, 2019): ci chiediamo se anche in quelle pagine, ancora da leggere, troveremo la stessa incongruente eleganza, la stessa dicotomia tra maestosità e fragilità che perseguita ogni comparsa del libro come se, conclusa l’esuberanza dello spettacolo, ogni personaggio tornasse persona; come se, a riflettori spenti, cadessero al suolo gli ultimi lustrini, in un attimo di perplesso silenzio, un ammutolire delle cose ma subito dopo, orgogliosa, riprendesse quella vita di strani compromessi, in cui le uniche foto tristi sono quelle scattate ai matrimoni e le lacrime, non più universali, cadono in lingue diverse.

Leggere le parole di Aglaja Veteranyi significa imparare un nuovo alfabeto dei sentimenti, acquisire un modo diverso di descrivere l’improbabile complessità che ci abita, un modo forse frammentario e incompleto ma, in finale, luminoso e non più solo illuminato.

 

Recensione di Delis 

____________________________________________________________________________________________________

Aglaja Veteranyi, Lo scaffale degli ultimi respiri, Keller, Rovereto, 2011

Edizione originale: Das Regal der letzten Atemzüge, Deutsche Verlags-Anstalt, München, 2014

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *