“VENERDÌ RE-VERSO”
“Noi siamo eguali, infine, eguali, alieni, soli.”
Ursula Kroeber Le Guin – una donna che, per dirla alla Whitman, contiene moltitudini. Non solo per l’immensa produzione letteraria, quanto per la sua ricchezza di pensiero, esuberante, rigogliosa, capace di sviluppare in un singolo libro tanti spunti quanto un’intera biblioteca. Ogni parola è il seme di un concetto che sarà libero di germogliare nel terreno della nostra mente: l’immaginario di cui Le Guin ci rende partecipi nel medesimo gesto ci libera dai vincoli del quotidiano e ci fornisce la chiave d’accesso a sguardi più consapevoli.
Finalmente emancipata dall’etichetta di genere (quello fantascientifico), oggigiorno questa autrice superba arriva a noi tra le fila della grande letteratura universale, quella che continua ad essere viva e vivace, non invecchia, non smette di pungolarci. “Il romanziere dice a parole ciò che non può essere detto a parole”, inventa bugie per svelare la verità, sembra predire mentre descrive: è il gioco delle contraddizioni che ribalta i punti di vista e ci consente prospettive inaspettate, nuove posture, indizi per impreviste direzioni.
Va bene, proviamo ad esplorare questo libro incredibile oppure, meglio, proviamo a fornire una piccola mappa di tutte le stelle che Le Guin riesce a indicare nel suo firmamento. Siamo sul pianeta Inverno; Genly Ai, inviato speciale dell’Ecumene (organizzazione interstellare), cerca – come da missione – di convincere i vari sovrani e le diverse fazioni della bontà dei propri intenti, illustrando i reciproci vantaggi di un’eventuale collaborazione cosmica. Sul pianeta, oltre a fare molto freddo, gli abitanti – anomalia dell’universo umano – sono androgini, precisano la loro sessualità solo in fase di kemmer, durante la quale si uniscono e, talvolta, si promettono fedeltà.
La prima conseguenza di questa condizione è che non esistono guerre conclamate; la seconda è che ci si relaziona tra pari, se esistono diversificazioni di potere si esprimono in modi che ci parlano più della lotta di classe che di rivendicazioni di genere. E in questo universo inventato, tra pagine che ricordano i primi fantasy dell’adolescenza, in una carovana tra i ghiacci prendono forma l’incontro con l’Altro, soprattutto, l’insensatezza dell’odio per chi sta dall’altra parte di un confine del tutto convenzionale, l’amore per la libertà e la conoscenza, l’armonia degli opposti, il viaggio incessante dentro se stessi e lo scontro con le proprie paure; la critica al colonialismo, al razzismo, alla misoginia, all’abuso di potere, tutto così limpido e reso semplice dall’evidenza di una storia ben raccontata. Il finale, struggente, ci ha ricordato quei due ragazzetti persi nella neve, un’altra amicizia speciale , quella de “La città dei ladri” di Benioff.
Le Guin scrive come se non ci fossero limiti alla nostra capacità di immaginare una vita migliore, come se l’utopia fosse a portata di mano, realizzabile, a patto di comprendere i nostri cortocircuiti. In tempi così difficili, in cui tutto va a scatafascio e fatichiamo a considerarci una collettività, ci commuovono queste semplici parole: “Considerando da quali distanze ci siamo riuniti, per dividere questa tenda per un poco, ci comportiamo abbastanza bene.”
Recensione di Delis
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Ursula K. Le Guin, La mano sinistra del buio, Mondadori, Milano, 1971
Edizione originale: The Left Hand of Darkness, Ace Books, New York, 1969



