Broken April

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The books chosen by Andrea Salonia

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Torniamo indietro, fino al 1978. Pare un’eternità, e forse lo è per il modo veloce con cui molte delle cose della vita sono poi andate. Molte, ma non tutte, e questi giorni dell’oggi – proprio oggi, 24 febbraio 2022 a maggior ragione –folli, incomprensibili, plasmati della stessa materiale del terrore, ecco, questi giorni mi han obbligato a ripensare alla violenza di Aprile spezzato, che Ismail Kadare pubblicò per la prima volta proprio in quel lontano 1978, dove il mondo era diverso, ma l’insania, la schizofrenia, l’alienazione degli esseri umani era assolutamente uguale. Purtroppo non impariamo.

E ciò non perché questo Aprile spezzato, romanzo capace di fascino perverso e misterioso insieme, racconti della guerra e della gente che muore battagliando (oddio…se anche solo mi fermo a rifletterci un secondo mi sembra impossibile e ho brividi forti, fortissimi, che mi scuotono tanto da far male: guerra, un solo secondo è sufficiente).

No: Ismail Kadare racconta della sua Albania, degli altipiani del nord del paese, ancestrali, rocciosi nella terra e nelle persone, così drammaticamente veraci da non poter essere che veri. Racconta del Kanun, probabilmente il più antico codice di diritto consuetudinario di un paese remoto e arcaico, lì, semplicemente al di là dal mare Adriatico, vicinissimo a noi, sconosciuto. Un codice costruito con la raccolta delle abitudini, della quotidianità che si fa legge, degli usi e dei costumi che come tali – con quella definizione favolistica e improbabile: usi e costumi – abbiamo studiato in storia e geografia alle elementari, che di un luogo, delle sue genti e dei suoi paesaggi, ci regalano un’idea bucolica…usi e costumi.

Qui è ben diverso: Aprile spezzato narra del Kanun che fissa l’obbligatorietà della vendetta, l’imperativa necessità di spegnere un’uccisione con altro sangue, in una singolar tenzone che oppone la morte violenta di un uomo a un’altra uccisione premeditata e imprescindibile, indietro per ben tre generazioni di maschi tra i parenti dell’assassino, in un domino perverso e tenebroso che di romanzesco ha, ancor oggi, poco o nulla, se non l’inevitabilità dello spezzare un’esistenza.

Di questo racconta Aprile spezzato, e lo fa con parole di normalità, di pioggia e di nubi, di attese e di nascondimenti, di sole e di freddo sulle montagne, di timori e di appostamenti. È la storia di Gjergj, predestinato a uccidere (si può essere predestinati a togliere la vita?), a vendicare la morte del fratello, pedina assassinata tra quelle del macabro domino che arriva a noi dai tempi del medioevo più buio, senza aver perso nulla dell’orrore che una morte feroce porta inevitabilmente con sé, soprattutto per la normalità che deve rappresentare, come se l’uccidere avesse anche solo una particella di savio e di normale. La sua concertazione. La sua attesa.

Perché Aprile spezzato è un romanzo di attese, anche questo, come molti di quelli che leggo e che più mi son rimasti impressi. È la attesa di un mese, è la vita tutta chiusa nella parentesi di un solo mese che Gjergj potrà vivere, scandita dalle regole del codice: un mese e non un giorno in più.

Trenta giorni di libertà, e poi sarà a sua volta vittima sacrificale, per regola, diventerà preda di altri predatori e assassini per consuetudine, che poi diventeranno prede a loro volta, nel mese del loro turno di attendere di essere ammazzati.

Da medico – ho studiato per aiutare a salvarsi, uno studio matto e disperato – mi sembra che quell’unico mese sia proprio assimilabile al tempo senza speranza di quei malati sopraffatti dall’inguaribilità del loro soffrire. Attendono, e noi con loro, purtroppo spesso, impotenti e inefficaci. Lo sappiamo, loro lo sanno, i loro affetti tutti ne sono perfettamente consci, ma si cerca di mistificare la realtà.

Da uomo, da persona, da individuo inserito in un contesto che sventola la propria convinzione di civiltà, il sapere di una morte deliberatamente fissata, aspettata e inevitabile per consuetudine che quasi è legge o forse ancor più che legge, scolpita negli animi, nelle menti come nelle pietre delle strade e sui muri delle case, ovunque e ovunque, ecco, il solo pensarlo è doloroso.

Attesa del proprio finire. Tema e ardimento perché non sia ciò che deve essere e non può che finire in quel modo, con la gente, esseri senzienti che lo giustificano, passivamente, come se rubare l’anima da un corpo fosse normale, lasciandolo a terra senza più sorrisi parole voce passi per passeggiare e piedi per correre.

Ho davvero una gran paura che questo romanzo, questo meraviglioso Aprile spezzato di uno straordinario scrittore come Ismail Kadare sia profetico dei nostri giorni, che sono giorni di febbraio, che rischian d’essere giorni di un febbraio spezzato. E noi con loro.

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Ismail Kadare, Broken April, La Nave di Teseo, Milano, 2019

Original edition: Prilli i Thyer, 1978

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