I ricordi del cuore (1 di 3)

Scritto da Franco Casadidio

 


 

Raggomitolato sul sedile anteriore dell’auto, con un paio di pantaloni corti che lasciavano scoperte le lunghe gambe segnate dalla prima peluria pre-puberale, Luca sonnecchiava gettando, di tanto in tanto, un’occhiata fuori dal finestrino. La sveglia, quella mattina, era suonata alle quattro e questo, unito all’emozione per il viaggio che lo aveva tenuto sveglio quasi tutta la notte, aveva fatto sì che il sonno prendesse presto il sopravvento, facendo piombare l’auto nel silenzio più assoluto.

Franco, per non disturbare quel sonno che sembrava così profondo, aveva perfino spento la radio cosicché, in poco tempo, l’unico rumore percepibile nell’abitacolo era rimasto il brontolio dello stomaco dell’uomo: segnale che era giunto il momento giusto per una prima sosta. Quasi ottocento chilometri separavano Terni da Monaco di Baviera ma, nonostante la lunga distanza, l’entusiasmo di entrambi era così forte che, ne erano certi, non avrebbero accusato alcuna fatica.

Il giorno successivo all’Allianz Arena, l’avveniristico stadio del Bayern, ci sarebbe stata la presentazione ufficiale della squadra per la nuova stagione con tanto di partita amichevole contro il Barcellona, rivincita della semifinale di Champions dell’anno precedente. Luca aveva espresso più volte il desiderio di vedere una partita dei bavaresi dal vivo e suo padre era riuscito a trovare un paio di biglietti proprio per quella partita di pre-season. In fretta e furia i due avevano organizzato la trasferta ed ora erano in viaggio verso quella che entrambi consideravano la migliore città del mondo.

Franco se ne era innamorato in gioventù quando, poco più che diciottenne, l’aveva visitata insieme ai compagni di scuola nel corso della consueta gita di fine anno scolastico. Luca, invece, aveva imparato ad amarla ancor più precocemente, all’età di quattro anni, durante la sua prima vacanza all’estero che – inutile dirlo – aveva avuto come meta “la più settentrionale delle città italiane” come veniva usualmente definita.

Franco, felice che suo figlio condividesse con lui quella passione, l’aveva incoraggiata e incentivata anche attraverso la comune fede calcistica.

“Luca sveglia! Facciamo una pausa. Che ne dici di un cornetto caldo e un bel bicchiere di latte?” Alla parola “cornetto”, gli occhi del ragazzo si aprirono lentamente e le gambe si distesero facendogli assumere le sembianze di un gatto intento a stiracchiarsi.

“Non si potrebbe sostituire il cornetto con un panino ai würstel?” chiese Luca aprendo lo sportello dell’auto.

“Würstel? Alle sette del mattino? Non se ne parla proprio, da stasera avrai la possibilità di mangiare tutti i würstel che vuoi. Senti che profumo di dolci appena sfornati!. Non ti viene l’acquolina in bocca?”

Una smorfia fu l’unica risposta del giovane. Ripreso il viaggio, padre e figlio si lasciarono rapidamente alle spalle Firenze per salire verso l’appennino e puntare in direzione Bologna.

“Papà, perché non mi racconti della tua prima volta a Monaco?”

“Ancora? Ma te l’avrò già raccontata decine di volte, non ti sei stancato di ascoltarla?”

“No, mi piace sempre e poi il viaggio è lungo, abbiamo tutto il tempo che vogliamo, così il tuo racconto potrà essere ancora più dettagliato”.

Lo sguardo dei due si incrociò per un attimo; in quegli occhi marroni, così profondi e intensi, Franco rivide come in un flash-back gli ultimi tredici anni della sua vita. Quel ragazzo seduto accanto a lui era il bambino che tante volte aveva tenuto in braccio cercando inutilmente di addormentare, era quello scricciolo che, con uno zainetto rosso troppo grande per la sua età, aveva accompagnato il primo giorno di asilo, era l’essere umano che tredici anni prima aveva stravolto, nel bene, la sua vita. Adesso, anche se era diventato il più alto della famiglia, quel ragazzo dai capelli scarmigliati e dagli occhiali spessi, restava sempre il suo bambino, con lo stesso sguardo magnetico di quando era piccolo.

Per scacciare il groppo in gola che gli si era formato a quel pensiero, Franco chiese al figlio un sorso d’acqua, con la scusa che quella bevuta l’avrebbe aiutato nel lungo racconto che stava per affrontare.

“Allora, come sai, tutto cominciò un sabato pomeriggio. Era la fine di aprile, il trenta per l’esattezza”.

“La sera del Cantamaggio!” intervenne Luca.

“Sì esatto, la sera in cui a Terni sfilano i carri allegorici. Beh, sai, per me quella era la prima volta che non andavo a vedere la sfilata, ma quell’anno il caso volle che la partenza per la gita scolastica fosse fissata proprio per il trenta aprile”.

“Non penso ti sia dispiaciuto, vero?”

“Ad essere sincero no, non vedevo l’ora di partire”.

“Eri felice di andare a Monaco, eh?”.

“Ero al settimo cielo. L’avevo sempre sognato fin da quando ero piccolo e il sogno, in quel momento, si stava avverando. Alle quattro del pomeriggio l’autobus partì dal cortile della scuola, direzione Germania. Alla sera facemmo tappa a Bologna per la cena, poi i professori ci portarono alla stazione a vedere la lapide in ricordo delle vittime dell’attentato del 1981”.

“Cosa? Questo non me l’hai mai raccontato”.

“Come hai detto tu, oggi abbiamo più tempo e posso dilungarmi in particolari che in altre occasioni non ti ho descritto. Devi sapere che il 2 agosto del 1981 qualcuno fece esplodere una bomba alla stazione di Bologna che causò decine di morti”.

“Ma è una cosa orribile!” disse Luca sdegnato.

“Sai, in Italia quelli erano anni particolari, molto difficili. C’erano attentati e omicidi quasi ogni giorno e molti di quei delinquenti non si facevano scrupolo di ammazzare persone innocenti che avevano come unica colpa quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. É una lunga storia che, magari, affronteremo un’altra volta. Comunque – tornando a noi – in serata ripartimmo in direzione Brennero”.

“Papà, siamo vicino Bologna vero? Riconosco la chiesa sulla collina, San Luca: il mio Santo” e così dicendo portò le mani alla testa mimando il gesto di un’aureola.

“Sì, siamo nei pressi di Bologna e in verità questi chilometri sono volati”.

“E’ vero, sarà merito del tuo racconto, continua per favore”- rispose il ragazzo intento a sgranocchiare una barretta di cioccolato.

“Durante la notte attraversammo il confine doganale con l’Austria e poi quello con la Germania senza accorgerci di nulla a causa del sonno profondo in cui tutti eravamo caduti e…”.

“Cos’è un confine doganale?” lo interruppe Luca, interessato – come sempre – anche ai particolari.

La domanda, a prima vista banale, non era poi così peregrina per una persona che, nata dopo l’abolizione delle frontiere decretata dal trattato di Schengen nel 1993, non ne aveva mai attraversata una.

 

Proprietà intellettuale di Franco Casadidio

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