La mia promessa di spiccare il volo

Scritto da Sara Patané

 


 

Il vento soffia forte oggi, tanto da far ululare le finestre. Sento la pressione che provoca sulle pareti esterne. Nel mio giardino, che ho provato a curare fallendo miseramente, c’è solo uno splendido e miracoloso fiore violetto. Il viola è sempre stato il mio colore preferito, il primo che abbia mai notato in un quadro; il primo che io stessa userei in un disegno.

I petali vengono scossi da una parte e dall’altra, cercando di resistere, ma ad un tratto la forza delle radici non basta più a trattenere il gambo, che si stacca. Osservo il miracolo librarsi sostenuto dall’aria fresca e violenta, sbandare. Non era pronto a staccarsi dal terreno, ma non c’era scelta. La natura lo avrebbe spezzato. Noto i petali agitarsi, e alzarsi nel cielo scuro. Forse, anche se con un po’ di turbolenze, il fiore sarà libero…ma ecco che il gambo si impiglia nelle dita scheletriche dell’unico melo che spicca nel mio giardino. Lo ha piantato Alberto, mio marito, infatti è l’unica pianta che non sia ancora morta, insieme al fiore, che già sta cercando di scappare. Lo comprendo. I petali si dimenano, ma è inutile. Il melo impedisce loro di sfuggire.

È troppo forte.

Poso una mano sulla mia pancia sporgente, tonda, e accarezzo la stoffa liscia e leggera. Mi piace immaginare che la manina stia facendo lo stesso dall’altra parte. Il dottore ha detto che è una femmina, ed io non so se ciò mi debba rallegrare o no. Da una parte, so che il legame sarà più forte, ma dall’altra…ho paura. Come potrò proteggerla quando non sono stata capace di proteggere nemmeno me stessa? Nella mia visione del mondo, una bambina è un fiorellino in una tempesta. L’uomo è…beh, può prendere tante forme. Può essere un ramo pronto a fermare il tuo volo, la radice che ti ancora a terra, ma mi piace pensare che esistano anche le foglie che ti accarezzano e ti incoraggiano a proseguire verso il cielo. Fisso quel fiore, che ancora lotta contro i rami. È così bello, ma più si dibatte più i suoi petali si consumano, appassiscono.

Ad Alberto non piace il mio corpo in questo momento. Dice che fatica a guardarmi…che non sono più attraente. In effetti, ho preso almeno sei chili dal primo mese. Ma cosa posso fare?

Mia mamma ripeteva sempre che una donna deve pensare solo alla famiglia. A me sarebbe piaciuto studiare grafica, ma questo avrebbe implicato un matrimonio posticipato, e i figli chissà quando sarebbero arrivati…

Ma il mio sogno rimane, nonostante la sberla di mia madre a questa richiesta bruci ancora sulla mia pelle. A mio padre non l’ho neanche detto. La sberla di mia madre a confronto sarebbe apparsa simile a una carezza.

All’inizio amavo Alberto. Credevo che fosse diverso. Ma dopo neanche un mese ho ricevuto il primo livido. Mia madre ne era piena, soprattutto sul corpo. Quando osservavo le donne in giro per la città di ferite non ne trovavo, ma lei diceva che se le coprivano. Ogni moglie deve prendersi cura del marito, diceva, ma deve anche obbedire alle sue regole, visto che lo stipendio lo porta a casa lui, e saperlo perdonare. Dopotutto, gesti subiti da parte di una persona in un attimo di frustrazione o rabbia non contano, giusto? Tutti hanno il diritto di sbagliare.

Ti amo, ti amo…

Ti amo.

Una cantilena. Cinque lettere che ormai sono diventate respiri che si disperdono nell’aria, inchiostro che imbratta un foglio candido.

Parole di scuse che implicano perdono, non atti d’amore che dichiarano rispetto.

Il cancello è aperto. Alberto non è a casa.

La mia mano è ancora sulla pancia.

Per me è troppo tardi ormai. La mia vita è stata rovinata, ho troppe cicatrici impossibili da cancellare. Sono un fiore appassito intrappolato dopo pochi attimi di libertà.

Ma per mia figlia, Iris, non sarà così. Strapperò le sue radici, taglierò i rami che cercheranno di intrappolarla e seguirò il suo volo. Sarò la sua tempesta.

Il fiore violaceo viene scosso dal sospiro del cielo, e questa volta riesce a liberarsi, anche se con qualche petalo strappato e malconcio.

Ed io apro la finestra, respirando a pieni polmoni mentre il vento mi avvolge.

Mi calo nel giardino, a piedi nudi, e cammino verso il cancello.

Cosa farò? Non ne ho idea, ma anche a costo di incespicare nell’aria, di perdere la strada e il controllo non permetterò a nessun ramo di fermare il mio volo.

Questa, caro Alberto, cari mamma e papà, caro mondo e, soprattutto, cara Iris, è una promessa.

 

Proprietà intellettuale di Sara Patané

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