La storia di Artemio (1 di 3)

Scritto da Valentino De Bernardis

 


 

Due colpi leggeri, seguiti da altri tre, e poi uno finale più netto. Né troppo distanziati tra di loro, né a intervalli troppo ravvicinati. Seguire la velocità del battito cardiaco è un trucco che aiuta a non sbagliare. Artemio conosce a memoria il segnale convenzionale per farsi aprire la porta, e con esso l’accorgimento per tenere il tempo. Fino alla fine di dicembre il codice sarà quello, così gli è stata riferito, poi a gennaio si provvederà a cambiarlo. Per ricevere le nuove istruzioni basterà andare a confessarsi da padre Luca la prima domenica del mese nella chiesa di San Cristoforo sul Naviglio, ammettere di aver peccato come uomo verso Dio, ma non come uomo verso la Patria, e prestare la massima attenzione alla penitenza stabilita. Le ultime pene assegnate ad ottobre erano due Ave Maria, tre Padre Nostro e un Credo.

L’uscio rimane chiuso. Con maggiore concentrazione Artemio ripete il codice per una seconda volta sul legno duro. All’erta per capire se si tratti o meno di un’imboscata. Ripensa a chi gli aveva detto di recarsi nel rifugio al civico 25 sul Naviglio Grande, a chi avrebbe potuto intercettare il messaggio e riferirlo alla polizia, o ai servizi segreti. Come un cane in trappola annusa l’aria per capire da dove possa venire il pericolo. Guarda con la coda dell’occhio prima verso destra, e poi verso sinistra, senza muovere di molto il capo. Guardingo.

“Perché diamine non vengono ad aprire? Non sapevano che venivo a quest’ora?” si domanda, indeciso se andare via o attendere che vengano ad arrestarlo. Il cuore batte forte, presta orecchio a ogni singolo suono, presta pelle alla paura. Stringe al petto quel che rimane di un cappotto in autarchico lanitel, non per scaldarsi, ma per trovare la tranquilla sicurezza della rivoltella con il colpo in canna. Se lo devono prendere dovranno lottare.

L’appartamento nello stabile signorile si era sempre dimostrato un luogo sicuro per le riunioni più delicate. Dopo i primi bombardamenti degli Alleati, alcune famiglie avevano preferito trasferirsi nelle campagne della Brianza, mentre altre abitazioni rimanevano per lo più occupate da anziani nati subito dopo l’unificazione dello stivale. Pochi vicini a sentire, pochi occhi a spiare, zero potenziali delatori presso l’invasore tedesco. Quindi se tradimento vi era stato, il traditore doveva essere per forza uno interno al gruppo, ma chi? Come fare ad avvertire chi di dovere di un viscido spergiuro nel gruppo? Premonizioni, mancate intuizioni, paura persistente di cui non bisogna aver vergogna perché aiuta a ragionare, adrenalina.

Finalmente il chiavistello gira senza far rumore. Pronto allo scontro. Le altre porte del pianerottolo sembrano rimanere serrate, ma la percezione è alquanto distorta. Rapido tira fuori l’arma e la nasconde dietro la schiena. Il dito sul grilletto. Il sudore sulla fronte. L’uscio si schiude, è pronto al peggio, respira a fondo prima di lasciare la penombra della tromba delle scale per immergersi nell’oscurità di un buio corridoio.

 

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