Foglie di gelso

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“VENERDÌ RE-VERSO

“Quali sono le vostre richieste?” – “Vogliamo vedere il sole.”

 

Sono così tante le cose che vorremmo dire – è così difficile permettersi di parlare di una sofferenza tanto grande, tanto ingiustificata. Tuttavia ci proviamo, perché è quello che possiamo fare.

“Foglie di gelso” esce nel 2020. Siamo nel 2024. Vorremmo dire che la situazione è precipitata ma leggendo queste pagine sappiamo subito che si tratta solo di un passo avanti nell’abisso. Abbiamo avuto la fortuna di parlare con Aysar al-Saifi, di sentire dalla sua voce da quale e quanta insensatezza nascono le storie di questo libro. Si tratta di 38 racconti brevissimi, poche pagine ciascuno, di rara intensità e poesia. Ci teniamo subito a precisarlo: dentro e oltre tutto il dolore, è un libro bellissimo. Perché sì, insomma, qui parliamo di libri; ogni tanto, come in questo caso, il ruolo di finestra sul nostro presente si fa più evidente, la luce che entra è accecante. In modo quasi paradossale non è mai ripetitivo: i racconti della vita in carcere, le minacce della vita nel campo di Dheìsheh, vicino Betlemme, (dove l’autore è nato e cresciuto), le fughe, le resistenze, sono tutti unici.

Quello che fa questo libro è proprio riportarci l’unicità di ogni singola esperienza, strappata dalla massa informe della conta di morti e feriti. Ricorrono molte immagini, questo sì, dalle foglie di gelso ai vicoli della memoria, e tutte ci riportano alla dimensione condivisa di lotta, di consapevolezza del passato ma anche e sempre allo sguardo verso il futuro. “La prima cosa che ci insegnano è resistere”, racconta Aysar; “Mia nonna ci faceva nascondere i libri sotto terra, non i soldi.”; e ancora, l’unica domanda che risuona alla fine del suo discorso e di ogni racconto: “Perché?”. Ed è una domanda devastante.

In ogni pagina, l’unica evidente colpa a emergere è quella di essere nati nel punto sbagliato del globo, la colpa incancellabile di essere palestinesi. Ciò in cui più di tutto si adopera la narrazione israeliana è sostanzialmente l’assimilazione della coscienza palestinese.

“L’Occupazione mira a distruggere la loro cultura e il loro patrimonio con l’intento di creare dei corpi vuoti, senza contenuto, da manovrare a proprio piacimento”. Questo è quello a cui resistono, molto più che alle bombe e alle torture, cercano di non dimenticare chi sono e lo fanno coltivando sogni e ricordi che possano riempire quello spazio sospeso tra “le parole della Storia e le distanze”. Viene da pensare che non può esservi ragione politica o storica sufficiente a giustificare neanche uno di questi soprusi e invece sono migliaia. In meno di 150 pagine le storie di separazione ci inchiodano al muro: mariti dalle mogli, madri e padri dai figli, fratelli, amici, dai luoghi, dal sole, dal mare. “L’Occupazione […] ha trasformato questi bambini che non capiscono nulla di politica, di economia e di storia in nuovi militanti per la libertà. Ha piantato in loro i semi dell’odio, del disprezzo e della ribellione: non dimenticheranno mai il giorno in cui sono stati privati della possibilità di vedere il mare.”

Dice bene Aysar quando, raccontando delle “detenzioni amministrative” del padre (sorta di arresto preventivo del tutto arbitrario), spiega: non potete nemmeno immaginarlo. Eppure quello che fa con le sue parole e i suoi racconti è proprio questo: farci immaginare. Non solo l’orrore ma anche la speranza e la forza inumana – o umanissima – con cui si radica il desiderio di libertà lì dove più essa viene negata e tradita.

C’è un dialogo che forse concentra più di altri lo spirito di questa guerra, crudele e scellerata, il dialogo tra un giovane artista incarcerato e un ufficiale sul significato profondo di un disegno che quest’ultimo vuole acquistare.

Ufficiale: “Beh, sebbene sia un leone, rimane pur sempre dietro le sbarre.”

Abd al-Quader: “Sebbene sia dietro le sbarre, rimane pur sempre un leone.”

Leggete questi racconti: sono pieni di poesia e amore e speranza. Hanno la resistenza millenaria delle radici e la forza superba del vento che sferza i rami. Leggeteli per essere più vicini a chi sta combattendo, a chi sta morendo, a chi sta scappando. Leggeteli per essere testimoni, per non credere ad altre narrazioni imposte, per non poter dire che non sapevate. Sono i nostri padri, le nostre sorelle, i nostri amici, non c’è un altro modo di pensare la guerra. Se abbiamo una libertà, non un dovere, è quella di considerarci fratelli e di resistere con loro.

Grazie Aysar.

 

Recensione di Delis 

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Aysar Al-Saifi, Foglie di gelso, Prospero , Novate Milanese, 2020

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