Emilia (3 di 3)

Scritto da Veronica Paladini

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Si fecero quasi le nove, l’ora giusta per completare la cena informale che preparò per lei e il suo capo. Non pensò molto a come vestirsi, a quale tovaglia usare, a quali piatti scegliere. Impiegò però un paio d’ore a decidere cosa cucinare. Non se ne capacitava: aveva paura di non cucinare bene. Quando il capo suonò e se lo ritrovò alla porta di casa, ammise a sé stessa, che era in ansia. Non sapeva come uscirne, perciò lo ammise. Ammise di essere agitata e i motivi erano veramente tanti. 

“Accomodati, prendo i piatti” la prima cosa che disse fu quella. Repentina e banale. Altro sintomo di chi vuole risolvere qualcosa prima che diventi un serio problema. In questo caso lei voleva risolvere l’ansioso disagio della cena. Voleva sbarazzarsene. 

Non sapeva ancora che in città, quella sera, esisteva un altro motivo molto più grande che poteva causarle il doppio del disagio e il triplo del malessere. 

Emilia sarebbe stata forte, oppure no. 

Questo lei non avrebbe potuto sceglierlo.

A certi momenti della vita, si deve tutto: la capacità di essere fragili, la perdita nata dall’ostinazione di aggrapparsi alla forza, l’inabilità di agire perché preziosa per sopravvivere. Erano argomenti duri, intensi, che Emilia conosceva bene. Non ne parlava mai a nessuno, ma li aveva vissuti.

“Pesto alle noci!” esclamò il capo. “Non la mangio da secoli”.

“Beh allora, cin-cin” brindarono con sincera gioia e gustarono il pesto.

“Lo prepari tu?”

“Dipende, questo è comprato” Emilia era davvero una donna ignara delle conseguenze delle sue frasi. Forse perché credeva che le parole se funzionali al personale sentire e pensare, non possono poi essere così tragiche. Forse dure, folli, spiacevoli, ma non tragiche. 

“Il connubio con i pomodorini e le noci mi piace. È bello sapere che lavora con me una contabile creativa in cucina”.

“Per te, casomai”.

“Volevo essere gentile. Sono un leader non un capo autoritario”. Proseguirono tra chiacchiere e silenzi spontanei in armonia piacevole. L’ansia, per il momento, era scomparsa.

“Come sta tua nonna?”

“Meglio… è in ricovero”.

“Fuori fa freddo, sei venuto in metro?”

“No, ho la macchina. Tra l’altro non ho nemmeno le carte necessarie per mostrarti il lavoro che avevo in mente per noi. La storia di mia nonna me ne ha fatto dimenticare!” irrigidito dalla dimenticanza provò a rimediare “domani te ne parlo a lavoro in maniera più approfondita. L’importante è che tu sappia che ho avuto una proposta dai piani alti e se vorrai potrai venire con me una settimana a Londra per firmare alcuni contratti”.

“Ah.” Emilia rimase di stucco.

“Ah? Dovresti dire urrà!”.

“Dammi tempo!” si difese “vado a fare rifornimento” prese il calice e andò in cucina a riempirlo.

“Porta qui la bottiglia. C’è da festeggiare”.

“Prendo anche il piatto, voglio dell’altra pasta. Tu?”. 

“Sto bene così, grazie”.

“Peggio per te!” ironizzò. Ormai era sempre più sciolta. Dentro cresceva l’eccitazione per la proposta di lavoro più importante della sua vita e ne era felice. “Non bere, aspetta me!” appoggiò i calici e tornò ai fornelli per riempirsi il piatto di altra pasta e mangiarlo con goduria.

O meglio questo era ciò che avrebbe voluto fare.

Il pesto e del buon vino rosso in una serata speciale ricca di successo per la sua vita.

Non ebbe il tempo di godersi quegli istanti perché bussarono alla porta e lei quasi svenne per lo spavento.

“Tu?”. La pasta al pesto cadde a terra e con esso anche le difese di Emilia che negli anni si era costruita.

Il passato era tornato insieme alle montagne e ai pascoli. Insieme al calore e al camino. Era tornato presentandosi con il volto di suo marito.

Un amore lasciato a metà nonostante fosse arrivato in alto come il monte Bianco. Una metà ormai povera di ogni contenuto, ma piena di dolore. E di vuoto: quel vuoto emotivo e fisico che avrebbe represso per il resto dei suoi giorni se la vita non le avesse portato il conto. Non per punizione, ma per costringerla a ritrovare sé stessa, una volta per tutte. La nostalgia di Emilia era stata così forte da attrarre il passato violentemente. Lei che era sempre stata una donna che amava fare tutto in punta di piedi. Il fatto era che adesso avrebbe dovuto cambiare marcia. Accelerare. Velocemente. Una fretta, stavolta, utile e necessaria.

“Eccomi!” rispose il marito, dopo anni di silenzio. Un’esclamazione fuori luogo pensò lei. La fretta finì per vestirla di dolci ricordi e di investirla di dolori nascosti. Alla fine, sarebbe toccata a lei, la prossima mossa. 

Richiuse la porta e con un sospiro di chi se l’è scampata ancora una volta tornò a mangiare la sua pasta. Aveva respinto tutto, un’altra volta. Da buona superstiziosa qual era avrebbe evitato, senza dubbio, di mangiare pesto per i successivi vent’anni per paura di qualunque rischio.

Proprietà intellettuale di Veronica Paladini

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