Mastro Geppetto

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I libri scelti da Andrea Salonia

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Mia madre dice spesso che essere genitore è complesso, e che fare il genitore è il mestiere più difficile che ci sia. Per me, che genitore non sono e che vorrei e avrei fortissimamente voluto essere padre, amando profondamente un essere venuto al mondo, cercando di dar spazio e fine a tutto quell’amore che c’è dentro, soffocandolo quasi di attenzioni e affetto – è terribile scriverlo, ma è così, e ne chiedo perdono – e progettando con lui un domani che porti con sé anche un solo atomo di ciò che prima di lui è stato, ecco, anche soltanto per questo motivo Mastro Geppetto di Fabio

Stassi è un libro che merita di essere letto. Su cui riflettere. Col quale spegnere l’abat-jour a sera, quando si cade nel sonno, sopraffatti da una giornata lunghissima e di cose non sempre piacevoli.

Allora si prende in mano la copertina blu di quella carta né liscia né ruvida, si inforcano gli occhiali che senza non si è più capaci di gioire delle parole, e ci si tuffa nella avventure di questo padre, straordinario e meschino al tempo, ma di una meschinità alla boccaccesca maniera, nel senso di povero, sventurato, pregno di sciagure, e giammai miserabile, indegno, spregevole, vile, piccolo, limitato, ristretto, inadeguato, mediocre, gretto, come erroneamente il vocabolario ci indurrebbe a pensare a una lettura superficiale e poco attenta.

Il Mastro Geppetto di Stassi è uomo puro e coraggioso, come coraggioso è il romanzo, che legge la straordinaria avventura di Pinocchio senza quasi raccontare l’avventura del burattino, senza mettergli le parole in bocca o farne di ogni giornata un’avventura fiabesca. No: Mastro Geppetto narra proprio dell’uomo Geppetto, della sua povertà, del suo sguardo immacolato di fronte al mondo, alla beltà e alle brutture che incessanti gli si parano davanti. E lui attraversa cose belle e cose terribili, tanto tremende, quasi incantato, come fosse normale e inevitabile il farlo, ma mai per dovere acquisito, e anzi come qualcosa di filogeneticamente connaturato alla sua persona, al suo essere genitore. Perché Geppetto ha dato alla luce il suo burattino Pinocchio. Perché lui è padre di quei poverissimi pezzi di legno che han ricevuto una stilla di vita nel momento stesso in cui qualcuno, il padre appunto, li ha profondamente amati, e loro han preso un’anima, senza neppure proferire una sola parola. Non un grazie. Non un ti voglio bene. Non un papà abbracciami. Nulla.

Ma è stato l’amore di quel padre nuovo e neofita a fare il miracolo, e una volta venuto al mondo quel figlio non poteva che essere accolto da un amore totalizzante, felice e disperato insieme. E così stato, e Fabio Stassi ce lo racconta raccontandoci di quanto occorre all’uomo durante la ricerca estrema di un figlio che si è allontanato, di sua volontà, almeno all’apparenza, e non si lascia più trovare, perso nel malaffare per curiosità e per quella certa qual stoltezza che deriva dal non sapere e dalla disarmante naivitudine che l’essere giovani e imberbi talvolta, molto spesso, comporta.

Mi piace proprio pensare che per osare scrivere la vicenda del secondo falegname più famoso della storia uno debba davvero essere audace e deciso, senza che ciò possa essere in alcun modo confuso per sfacciataggine, spudoratezza e certo mai per arroganza. Io ho trovato rispettose e pudiche le parole che raccontano gli sberleffi al falegname Geppetto, il suo peregrinare per valli e montagne, il  suo stare senza coscienza, le attese sotto il fiorire delle nuvole e la tenacia dei passi uno dietro l’altro, e poi un altro e un altro ancora. Mi ha conquistato perfino il fatto che a un certo punto del leggere quasi non si ricordasse neppure che il tesoro da trovare al centro della ricerca di Geppetto fosse un burattino, brutto e bruciacchiato, perché era la ricerca medesima il fulcro del tutto, la ricerca del figlio amato, la ragione del vivere stesso, e nulla più. E allora i nomi perdevano fin di importanza… ”Ma che importanza ha, un nome, non siamo tutti lo stesso sbuffo di fiato, che può ammutire da un momento all’altro?”.

Così scrive Stassi, e ciò mi è molto piaciuto. Ma ancor più mi è piaciuto l’uso garbato e sapiente delle parole, la descrizione dell’uomo che nel camminare, nell’incedere come scalasse una montagna, ogni volta una vetta tanto alta e scoscesa da non poter essere raggiunta in alcun modo, e lui pervicace senza neanche saper di esserlo. E ho molto amato la vicenda dell’uomo e la vicenda del diventare padre, sempre più padre.

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Fabio Stassi, Mastro Geppetto, Sellerio, Palermo, 2021

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