Scompartimento N. 6

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I libri scelti da Andrea Salonia

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Scompartimento N. 6 è capace di evocare molte suggestioni, e molto diverse tra loro. Rosa Liksom, acclamata autrice finlandese, ha scritto ormai alcuni anni addietro questo romanzo denso che pare melassa, ma al tempo di una leggerezza disarmante, violento e tenerissimo insieme, un romanzo degli opposti stati d’animo, che mi ha incuriosito già per la deliziosa prima di copertina, che pochi, se non Iperborea, avrebbero saputo realizzare con tanta elegante efficacia.

Scompartimento N. 6 è un romanzo on the road, ambientato sui binari del treno, nel percorrere una tratta talmente lunga da parere infinita, lunga come la Russia, da Mosca alla Mongolia. Di più: la maggior parte della vicenda pare svolgersi all’interno di un solo scompartimento – il n. 6 appunto – per migliaia e migliaia di chilometri, esattamente come uno si immagina quella parte di mondo guardandola sulla cartina, tracciando una linea tra i paesi baltici e l’ultimo spigolo di costa di fronte al Giappone. Oggi di quella Russia è fin difficile parlarne o scriverne senza averne paura, senza provare sentimenti duri, astiosi, fin l’odio, senza correre il rischio che la russofobia ci mangi, pensandoli tutti in arme vestiti quei russi laggiù, finanche quelli meravigliosi che avevano messo le loro parole sulla carta – pure quelle meravigliose – ma in altre ere geologiche, ere per le quali bisogna attrezzarsi per fare speleologia della civiltà.

In Scompartimento N. 6, però, non c’è nulla di claustrofobico, e quella dello star chiusi nel solo scompartimento N. 6 è una sensazione iniziale, apparente per di più, in parte evocata dal titolo in parte dalla narrazione: in realtà è una vicenda senza confini, né fisici né di tempo. Perché il tutto sconfina nel vasto mondo là fuori, con gli spazi senza limiti apparenti della terra di Russia, che si muove lungo i binari, cambiando notte e giorno pur con la presenza costante dell’inverno, del freddo e della neve. Provate a chiudere gli occhi, ascoltate: “…Tutto è in movimento: la neve, l’acqua, l’aria, gli alberi, le nubi, il vento, le città, i villaggi, gli uomini e i pensieri…”. Così scrive Rosa Liksom, e io l’ho trovato immaginifico e vero, bello, insomma.

Ma Scompartimento N. 6 sconfina soprattutto nel tormentato mondo interiore del protagonista maschile, russo di Russia, in viaggio con una vita passata e un subconscio pregni di tormenti, entrambi impossibili da tenere a bada. C’è una vita, una qualunque di uno qualunque di noi, che non lo sia? Qui di diverso c’è l’ambientazione, l’alternanza della delicatezza e del furore, delle parole incontrollate, del parlare di sesso e di puttane come se si raccontasse della gita al faro e della attesa del pescatore lungo il fiume, dove non si pesca nulla, ma la Liksom ben dice, si pesca perché lo si è sempre fatto, e taluni non possono andare contro la loro natura. È vero: gli opposti sono di ciascuno, ed è forse anche per questo che il romanzo è così potente.

E poi Scompartimento N. 6 sconfina nel rivivere per immagini la storia della protagonista femminile, ragazza finlandese accolta per studiare in una Mosca straordinariamente curiosa e accogliente, o quantomeno così curiosa e accogliente come non ce la saremmo mai aspettata, soprattutto in quegli anni della URSS, dove poco o nulla del “nostro” mondo occidentale era possibile ai piedi del Cremlino.

Talune sono immagini affastellate, altre di un nitore disarmante, in un andamento chiaroscurale; c’è spazio per la nostalgia, senza che arrivi a soffocare; per l’amore, perfino per accenni di amore arcobaleno, e sempre senza che questo corra il rischio di diventare stereotipato o invasivo, e nemmeno caricaturale; c’è spazio per la musica, e molti sono i rimandi a incantevoli note che tutti conosciamo e a tanti altri pentagrammi russi che non conosciamo affatto, come spesso ci capita per i mondi lontani di cui sappiamo poco o punto, pur sapendoli benissimo giudicare (io provo solamente terrore, e giudico la violenza uno schifo assoluto, considero le morti una tragedia senza giustificazioni, l’aggressione fisica e delle armi un’offesa all’essere uomini, senzienti e cogitanti). E ancora, in Scompartimento N. 6 c’è spazio per l’incanto e il disincanto, e c’è molto altro spazio, vasto, come le vastità dei luoghi attorno.

La Liksom ha questo pregio importante: scrive per nemesi storiche al presente, a dire che un momento c’è il tormento, la sevizia dell’animo, il dolore, lo strazio, il fastidio, e il tutto legato alle vicende umane, mentre il momento dopo eccoti la pace della neve caduta, il suo silenzio all’orizzonte, un poco di sentore di primavera, un uccello posato, la bellezza della città industriale che sa essere strabiliante opera dell’uomo nel progetto celestiale di Dio e della Natura.

Per questo trovo che Scompartimento N. 6 sia romanzo di suggestioni, molte, e molto diverse. Credo sia una lettura da farsi, per quelle “migliaia e migliaia di verità. Ognuno ha la sua. Quante volte ho maledetto questo paese! Eppure che cosa sarei senza la Russia? Io amo questa terra.” Così scrive Rosa Liksom.

Non so se saprò mai dare una spiegazione agli accadimenti nefasti di questi giorni così drammatici; anzi: non voglio dare una spiegazione, è certo soltanto l’irrazionalità ad averli motivati, voglio fortemente voglio sia così. Tuttavia queste pagine dentro la copertina in rosa e glicine forse aiutano a provare a comprendere.

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Rosa Liksom, Scompartimento N. 6, Iperborea, Milano, 2014

Edizione Originale: Hytti nro 6, Helsinki 2011

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