Achi, il sorriso dello Sri Lanka

Scritto da Francesca Sivori

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Epitamulla Road è una stradina interna parallela a Galle Road, la via principale di Kamburugamuwa, nel sud dello Sri Lanka.

Una mattina decido di percorrerla a piedi fino in fondo per raggiungere la Parrotfish Bay, una piccola baia incastonata tra un gruppo di scogli ai piedi di un promontorio dalla forma di drago addormentato. Passo in mezzo ad alberi di banane, manghi e naturalmente palme di ogni tipo. Immerse in questa vegetazione rigogliosa e alquanto generosa spuntano casette per lo più bianche, a un piano solo, massimo due. Tutte molto carine e di gusto, anche se molto povere.

Sul mio percorso, incontro alcuni bambini che, sorridenti, mi salutano facendomi un mucchio di feste. Cominciano a rivolgermi le solite semplici domande nel loro rudimentale inglese: Come ti chiami, da dove vieni…Mi fermo qualche minuto con loro e quindi proseguo.

Poco dopo incontro un ragazzo con la barba che si intrattiene con me per qualche minuto: è un istruttore di surf, conosce l’Italia e ama viaggiare.

Arrivo finalmente in spiaggia e mi sdraio al sole. Poco dopo mi raggiunge Prageeth, il mio padrone di casa e facciamo un bagno insieme.

Torniamo al mio telo da mare e da lontano vediamo arrivare un ragazzo. Non ho ancora l’ ‘occhio’ allenato a riconoscere le persone sri lankesi e penso, mentre questi si avvicina a noi, che sia il ragazzo incontrato poco prima per la via: anche lui è nero nero e porta la barba.

“Lui è Achinta, detto Achi”, mi informa Prageeth,“un mio giovane amico”.

“Ah”, rispondo io, “ci siamo già conosciuti poco fa!”.

Il tipo mi guarda con aria stranita: ho già fatto una gaffe. Non è la stessa persona.

Fortuna che i due si mettono a parlare tra di loro e io passo in secondo piano, insieme alla mia brutta figura.

La mattina seguente torno a Parrotfish (ormai l’ho eletta la mia baia preferita): non c’è nessuno, il mare è trasparente e lungo la battigia comincio a raccogliere gli occhi di Santa Lucia: ce ne sono tantissimi. Ancora un bagno e poi mi sdraio sulla sabbia calda.

Non passa molto tempo da che mi crogiolo al sole, che mi raggiunge Achi. 

Parlottiamo un po’ e poi lui mi propone di fare un giro dei fondali. Ci tuffiamo nelle onde, ma torniamo a riva presto perchè la visibilità non è delle migliori: le correnti sotterranee sono molto forti.

Lui, si capisce, non è tipo da spiaggia; e io tanto meno. Così cominciamo a passeggiare e raggiungiamo degli scogli da dove si possono vedere affiorare le tartarughe. Non è il nostro giorno fortunato: dopo almeno dieci minuti di occhi sgranati, di tartarughe, neppure l’ombra. 

“Vieni”, mi dice a quel punto. “Ti porto al tempio!”. Comincia a dirigersi verso la punta del promontorio saltellando tra gli scogli e i massi. Io lo seguo cercando di stargli vicino; non sono più allenata a saltare sulle rocce e le pietre sono incandescenti. Ogni tanto mi fermo per mettere i piedi a bagno e mi sembra di vedere l’acqua evaporare da sotto le mie estremità.

Poco dopo, abbandoniamo le rocce e ci inerpichiamo su per un tratto di terra franato. Io fatico un poco ma il mio orgoglio mi trattiene da chiedere aiuto…

Arriviamo in cima alla salita e mi si apre davanti agli occhi uno spettacolo incredibile: un prato quasi all’inglese, ma di erba spontanea, puntellato di palme e in fondo la “cupola” del tempio.

Ci avviciniamo guardinghi: siamo in costume da bagno e non è certo l’abbigliamento adatto per quel luogo sacro…

“Che posto meraviglioso!”, esclamo io.

“Se vuoi ci torniamo: merita di vederlo dentro, è uno dei più antichi templi buddisti della zona” 

Giriamo attorno all’edificio tenendoci a debita distanza e quindi ci infiliamo in un sentierino appena tracciato in mezzo a cespugli e piante varie. 

La terra è soffice e cammino senza troppi problemi ai piedi.

“Hai sete?”, mi domanda Achi.

Dopo quella arrampicata, sotto il sole cocente, la desideravo proprio un po’ d’acqua. Ma non mi sembrava di scorgere fontanelle nei paraggi.

Vedo Achi che si avvicina ad una palma.

“Forse c’è una sorgente d’acqua lì dietro”, penso incuriosita allungando lo sguardo.

Il ragazzo si china a raccogliere qualcosa. Lo seguo sempre più attonita mentre si cinge i piedi con un pezzo di stoffa recuperato e comincia a salire su per la palma. Gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, non credo a ciò che vedo: Mowgli di Disney! La pianta è altissima e il suo fusto è sottile…Achi è robusto: temo che la palma non reggerà al suo peso. Lo guardo allibita e con apprensione.

Invece, in un baleno è già in cima e tiene in mano un bel cocco. Lo strappa via e lo butta poco distante da me; quindi fa la stessa cosa con un secondo. Dopo di che, con la stessa agilità con la quale era salito, ridiscende; rimette al suo posto la stoffa e con un bel sorriso stampato sulle labbra mi dice: “Ora andiamo a bere”.

“D’accordo”, sento dire dalla mia voce, il mio sguardo ancora ipnotizzato sulla palma e sulla scena che si era svolta in una manciata di secondi.

Qualche passo e la giungla si trasforma in un praticello invitante. Mi siedo su questo tappeto morbidissimo mentre Achi comincia a picchiare il primo cocco contro una roccia appuntita. Appena esce un piccolo zampillo, me lo porge e io comincio a bere: una delizia! Quindi si prepara anche il suo.

Svuotati i cocchi, Achi, con alcune manovre e colpi ben assestati li spacca in due e, con le mani, cominciamo a scavare la polpa e a mangiare.

“Are you happy?”, mi domanda.

Questa sua gentile richiesta, detta col sorriso e con purezza infantile mi fa capire che ho incontrato una persona davvero speciale.

Infatti, quella non sarà l’unica volta che mi sentirò chiedere: “Are you happy?”; Achi me lo ripeterà quando si ritroverà ad accompagnarmi nelle mie curiosità e nei miei desideri di conoscere il mondo srilankese.  

Come  la volta che mi conduce in spiaggia di notte a vedere le tartarughe  che depongono le uova; o quel pomeriggio che mi accompagna a raccogliere le vongole nella spiaggia di Weligama e poi corriamo veloci con il suo scooter alla Parrotfish Bay dove le mettiamo sulla spiaggia  perchè mi è venuto in mente di provare a impiantarne una colonia ; o quando suona alla casa di un tipo che nemmeno conosce per chiedergli se possiamo tagliare una foglia di palma del suo giardino, a me necessaria per terminare una composizione floreale; quando non ci addentriamo nella giungla per trovare un ramo che avevo in mente….

O come il giorno che si munisce di lenza e amo e, nuotando in mare, pesca dei pesciolini neri e ogni volta che ne prende uno, me lo tira sullo scoglio. Io, invece che lasciarli morire li tengo vivi in una pozza d’acqua e quando lui torna gli chiedo:

“Vuoi mangiarli?”.

“Tu cosa vuoi farne?”, mi domanda a sua volta.

“Io li vorrei buttare in mare”, rispondo convinta.

“Are you happy? “. Il mio sguardo è eloquente…

 “It’s ok, it’s ok”, e mi abbaglia con il suo bianchissimo, ammaliante sorriso.

 

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