Il commesso

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“VENERDÌ RE-VERSO

“Era Morris Bober e non poteva avere una sorte migliore.”

 

È che si leggono tanti libri. Più andiamo avanti più le pagine si accumulano e l’ombra dei tomi impilati si getta sui giorni a venire, indicando con grazia le letture che vorremmo affrontare poi. Piano piano, impercettibilmente, le analogie si sommano, le eco rimbombano, lo stupore si intorpidisce. Certo, amiamo sempre la lettura ma aggiustiamo il tiro, cerchiamo stili originali, forti, contenuti spessi, inseguiamo indefessi quella soddisfazione che ci davano i libri dell’adolescenza, quelli in cui sparivano i giorni, che ci possedevano anche nello spazio e nel tempo tra una letta e l’altra. Informavano le nostre vite, le storie diventavano le nostre storie, corri dal tuo amico a dirgli “Devi assolutamente leggere questo”. Le possibilità, le promesse di tutti quei libri ancora da leggere. Non è che uno “guarisca” da questo astratto furore, ma poi, la vita…

Un giorno ripeschiamo dalla pila dei libri da leggere quel titolo che ci avevano consigliato anni fa, di sfuggita, ma con una luce negli occhi che ci aveva convinti. Quel libro è “Il commesso” di Malamud e a pagina 3 siamo di nuovo dei quindicenni avidi con il naso piantato nelle parole e la lista delle priorità tutta..all’aria. Ci siamo chiesti perché. Morris Bober è un povero ebreo, in fondo alla sua onestamente disastrosa – o disastrosamente onesta – esistenza ci sono: una piccola bottega in fallimento, una moglie pesante come la cronaca nera, una figlia splendida che inizia a capire cosa vuole dalla vita e cosa non vuole dagli uomini. Siccome piove sempre sul bagnato, due ladruncoli dell’ultima ora (quella prima della chiusura), pensano bene di tirargli una randellata in testa e rubargli il miserrimo incasso della giornata. A questo punto fa la sua apparizione Frank Alpine, un giovane italiano un po’ scapestrato che si offre di lavorare senza compenso per dare una mano e imparare il mestiere. Frank Alpine e Morris Bober. È l’illuminazione di un istante sapere che non scorderemo questi nomi; che le loro vicende saranno le nostre e che le porteremo con noi nel cammino.

“Che roba è?”

“Un romanzo”

“Preferisco leggere la verità”

“È la verità”, disse Helen.

E di verità, intuiamo, anche in questo, di romanzo, ce n’è molta: sta tutta nello sguardo, umilmente rivolto all’animo umano, pronto a svelarne la piccolezza e la grandiosità. Ci muoviamo tra i pensieri dei personaggi insieme comuni e straordinari e con immediata facilità cogliamo il riflesso di quanto eternamente ci circonda. Non sono le circostanze, non sono i tempi, ma la molteplicità, l’ambiguità, la contraddizione, il moto perpetuo di ogni cuore ad essere sempre veri.

La storia che Malamud ci regala è uno specchio d’acqua limpido che il nostro sguardo attraversa per intravedere la vita brulicante al di sotto della superficie. Come a dire che quello che vedremo potrebbe non piacerci ma a commuovere non è la bontà quanto più l’evidenza: non è buono l’uomo che non può scegliere di essere altrimenti che onesto e che si porta la sua onestà come una palla al piede; non è malvagio l’uomo che passa la sua vita a cercare di dire qualcosa di importante per cui non trova le parole e allora ruba, imbroglia, sbaglia tutto, pur di trovarle, quelle parole; non è spietata la donna che ha paura né virtuosa la ragazza perché sogna la grandezza: sono tutti veri e umani e tale e tanta è la maestria con cui questi cuori ci vengono rivelati che d’un tratto capiamo che leggeremo e leggeremo ancora tutte le storie che possiamo, cercando queste stesse verità che ci consolano e ci fanno piangere e ci fanno desiderare, ci rendono bramosi di vita e curiosi di tutto l’Altrove che un libro può illuminare. Questo Altrove: dignità, miseria e riscatto, aria fredda di marzo che commuove, i lillà che proteggono un amore. Sbagliare, sbagliare
ancora, cercare una strada tra gli errori, una luce nei fallimenti.

Se leggere è un modo ben strano di stare al mondo, un modo che solo in apparenza ha a che fare con la fuga, scrittori e lettori imparano che la forza con cui può colpire una storia è la forza della vita stessa, un diretto teso in faccia, che ci rende impauriti e coraggiosi nello stesso movimento, aperti all’ignoto, pronti a rispondere.

 

Recensione di Delis 

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Bernard Malamud, Il commesso, Minimum Fax, Roma, 2013

Edizione originale: The Assistant, Farrar, Straus and Giroux, New York, 1957

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