Scritto da Laura Zona
Questa mattina la luce è filtrata, sorniona, attraverso le ante della finestra.
Mi ha invitato a giocare con lei, ma io, dal mio angolo di pigrizia, sotto la coltre delle coperte, ho cercato di resisterle. Mi sono illusa, strizzando gli occhi, di eludere il suo richiamo. Poi, però, è bastato socchiudere le palpebre, giusto un istante, per capitolare nella sua magica rete.
Microscopiche particelle danzavano, leggere, nei fasci di luce dorata che foravano la penombra. Formavano meravigliosi e cangianti arabeschi, di una bellezza da togliere il fiato. Promettevano qualcosa di speciale. Da scoprire, senza alcun indugio. Per questo, scalciando via le coperte, con foga improvvisa e giocosa, ho abbandonato il mio caldo giaciglio e sono corsa alla finestra.
La meraviglia mi stava aspettando, sicura di accogliere lo stupore del mio animo bambino. Come a teatro, quando il sipario si alza lentamente ed appare la scena, il candore della distesa di neve era abbagliante. Ricordava il paesaggio fiabesco di una vecchia cartolina di Natale.
Emanava un senso di quiete e di ricordi felici. Potevo abbuffarmi della sua lucente bellezza. Senza farne indigestione. I miei occhi, non si stancavano di nutrirsi di tanto incanto. D’un tratto, il mio respiro ha sussultato. Il naso si è bloccato, solleticato dall’aria frizzante.
Il freddo non fa paura. Buca le narici. Scende, veloce, a sferzare i polmoni. Invade il corpo, con tutta la sua potenza. Bisogna saperlo accettare, però. A me piace l’idea di lasciarlo entrare, come un amico sincero che si accomoda in casa e porta una ventata di aria nuova. Così è stato, in questo nuovo giorno nato all’insegna della sorpresa. C’è n’era grande bisogno. In un batter d’occhio ho infilato tuta e scarponi. Una corsa e…il tuffo in mezzo alla neve.
Sembrava panna soffice su un pasticcino. L’ho assaggiata, con desiderio. Come fosse la prima volta. La lingua si è incollata su un piccolo ghiacciolo. Per un istante, il gelo ha riempito la bocca. Poi, tutto si è sciolto. L’acqua, come cascata argentina, è scesa lungo la gola. Ha lavato via il gusto, scadente, di vecchi sapori. Al suo posto la smania di novità. D’istinto, lo sguardo curioso ha spaziato tutt’intorno. La bianca distesa era immacolata. Assolutamente inviolata. Neanche i passeri avevano osato sfiorarla con le loro zampine.
Come fosse qualcosa di sacro. Solo io, con il mio entusiasmo infantile, ero causa del sacrilegio. Mi sono fermata, colpita, all’improvviso, da quel grave pensiero. Non potevo far altro che accarezzarla, con delicatezza. Sotto la mano, la neve sembrava fragile, quasi indifesa. Ho chiuso gli occhi, per godermi ancora un po’ quel contatto. Sentivo il bisogno di chiederle scusa. Inaspettata, una voce sconosciuta mi ha sussurrato all’orecchio parole preziose. Parlava di un sonno profondo: il tempo del grande riposo. La terra, a quel punto, ha ribaltato, dentro di me, la sua suggestione.
L’anima si è aperta, come un enorme cratere. Tutto quello che credevo di essere vi è scivolato dentro. Il mio io scomparso, assorbito nel luminescente e perlaceo biancore. Senza resistenza alcuna. Nessuna paura invadente o l’ombra di un desiderio incalzante. La resa totale. Il silenzio assoluto.
Eppure, in quel non tempo, apparentemente immobile e senza indizio di vita, qualcosa è accaduto. Da profondità insondate ha cominciato ad emergere una vibrazione leggera. Riempiva il vuoto, avanzando ordinata. Sapeva cosa fare. Nulla lasciava indietro, come guidata da un’intelligenza propria.
I confini erano spariti. Percepivo l’indizio di inesauribili possibilità. Prima fra tutte, la certezza di poter essere niente e nessuno. Senza ansie e preoccupazioni. Si trattava di uno stato di semplice, imprescindibile armonia. Non so quanto sia durato questo momento di beatitudine. Assomigliava ad un sogno, ma ha lasciato una traccia indelebile nella mia realtà. Il paesaggio incantato è rimasto nel cuore e quel vuoto, che un tempo incuteva timore, è diventato essenza nuova, piena di luce.
Proprio come, questa mattina, la neve al sole.
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