L’acqua del lago non è mai dolce

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“Mia figlia scrive bene, ma racconta malevolenze, spreca belle parole per cose meschine.”

La storia raccontata è quella di una famiglia invisibile nell’Italia contemporanea; e con invisibile intendiamo ultima tra gli ultimi. Costretta a sopravvivere ai margini della legalità per avere un tetto sulla testa e del cibo da mettere a tavola. Una situazione di totale precarietà da cui sembra non esserci via d’uscita, anzi peggiorata da continue sventure che ne aggravano il quadro d’insieme. 

Il libro è sviluppato su tre pilastri: la disperazione, la vita di provincia e i rapporti familiari. Tutte tematiche vissute con cruda intensità che, in diversa proporzione, formeranno i mattoncini delle personalità dei singoli personaggi narrati.

La disperazione è figlia della povertà, e solo chi l’ha vissuta in prima persona sulla propria pelle ne può capire la vastità, che in alcuni tratti del romanzo è descritta alla perfezione. Quasi come se dalle pagine uscisse fuori una mano a chiedere aiuto. A pagarne le conseguenze peggiori sono i bambini, forzati a diventare adulti prima del tempo, a prendersi responsabilità che non spetterebbero loro, a non avere diritto di sognare e desidera. 

La vita di provincia, nello specifico ad Anguillara Sabazia subito fuori Roma, è un po’ come una rinascita. Rapporti interpersonali più sinceri, dove in breve tempo tutti conosco tutti, e per riconoscersi è importante indicare “di chi si è figli”, per capire subito il grado di onestà-ricchezza-valore della famiglia di provenienza. 

Le difficoltà dei rapporti familiari sono invece quelle che si possono riscontrare in ogni famiglia, peggiorate esponenzialmente dai problemi economici, perché se è vero che i soldi non fanno la felicità, almeno concedono la serenità. Scontri generazionali tra padri e figli, tra chi rivendica spazi sempre maggiori di libertà di pensiero, e chi invece prova a imporre (anche se con tutte le buone intenzioni del mondo) la propria visione della vita. Tensioni esacerbate nel libro, fino all’esilio del figlio primogenito nella casa della nonna. 

Finalmente un libro contemporaneo ben scritto, con una ricerca  delle giuste parole e dei giusti aggettivi. In alcuni passaggi ci è sembrato di rileggere quella narrativa italiana degli anni quaranta, cinquanta e sessanta, in cui scrivere era un mestiere al servizio della collettività. A piacerci meno, alcuni riferimenti alla contemporaneità, come i titoli di programmi televisivi o tipi di gelati confezionati, ma questo è un nostro gusto personale. 

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Giulia Caminito, L’acqua del lago non è mai dolce, Bompiani, Milano, 2021

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