Domani avremo altri nomi

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LA PRIMA RECENSIONE DEL MESE SARÀ

DEDICATA ALLA NUOVA RUBRICA:  “LUNEDÌ DI-VERSO

Ci fu un istante in cui entrambi esitarono, poi non esitarono più.”

Diceva Edgar Lee Masters: “Quando l’amato si ritrae dalla tua anima, allora hai perduto la tua.” Che è vero e non lo è, ma ci si mette una vita a impararlo.

Lui e Lei. I protagonisti senza nome di una storia unica e uguale a milioni di altre, la storia di due anime che si separano. Le motivazioni sono vaghe, effimere, forse perché irrilevanti: quando si sta perdendo un pezzo di sé ha davvero importanza trovare un perché? Se ti trovi senza un braccio che differenza fa come l’hai perso, la mutilazione resta. Il dolore che si prova in quel momento sembrerà sempre senza senso e senza scopo; cantavano i Marlene Kunz: “uno spasimo che sa di tremenda condanna”.

Ma Lui e Lei non hanno nomi anche perché la loro storia li ha resi un essere bicefalo, fusione magmatica di gesti, linguaggi segreti, abitudini, confidenze di cui è arduo distinguere i confini. Dove finisco io, dove inizi tu? Si perde il nome, si perde identità, nella convinzione di guadagnare molto altro – una casa, un amore, un’idea di futuro condiviso. Si perdono pezzetti di sé nella speranza che quegli stessi pezzetti, insieme a quelli dell’altro, stiano dando vita ad una sorta di identità terza, altra. Poi lui, o lei, se ne va e quella costruzione si sbriciola, le giunture non tengono, tutto si sfalda in un cumulo di detriti slegati, insensati. A te rimangono i buchi, piccolissimi “vuoti di sé”, impossibili da colmare.

È sbagliato? Probabilmente. Eppure questa storia è tantissime storie e va raccontata, anche se è sbagliata. Anche perché, e questo è fondamentale, nel cercare di riparare il Danno – i pezzi perduti non si sostituiscono, se siamo fortunati le ferite cicatrizzano, e non è la stessa cosa – i due protagonisti ritrovano il loro sguardo sul mondo, recuperano una prospettiva (molto critica) sulla realtà che continua a scorrere attorno alla loro isola di dolore. Attraverso i loro occhi Patricio Pron affonda delle stoccate al mondo dell’editoria, alla concezione di relazione, al consumismo occidentale – commenti mai ipocriti che possiamo non condividere ma che stimolano un movimento critico, negativo, non accondiscendente. “Che genere di vita della mente credevano potesse sorgere da una cultura della positività e della mancanza di dissenso?”.

Così mentre riflettiamo su ciò che significa essere in relazione con l’altro, non esserlo più, “reimparare a camminare”, scostiamo anche quella patina apatica che vela il nostro sguardo sul mondo. Un finale inaspettato poi regala un brivido commosso al lettore, le infinite, plausibili diramazioni di questa storia si raccordano in una conclusione a tratti malinconica ma che sa di consapevolezza e libertà. Ci è piaciuto leggere questo libro riflessivo, pacato, alzare gli occhi dalle pagine e fermarci a guardare il mondo percependo quel piccolo, infinitesimale scarto dal punto di partenza: il regalo grande che ci fa un libro quando ha qualcosa da dire.

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Patricio Pron, Domani avremo altri nomi, Sur, Roma, 2021

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