Cos’hai nel sangue

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“VENERDÌ DI-VERSO

“La vera forma del sangue è una catena, e il suo peso è insostenibile”.

Non si tratta di una domanda: è già una conclusione. Ed è nel titolo: ci vuole del carattere, per mettere così un punto e non un interrogativo. Ci da un po’ il peso di questa giovane esordiente, Gaia Giovagnoli, che con un pizzico di sicumera scrive questo libro per parlare di radici, di donne, di ricerca, di inaspettato.

Quanta e quale parte di noi inizia prima di noi? La domanda è tanto più fisiologica quanto più complesso e aggrovigliato è il rapporto con chi ci ha generato. La prospettiva psicologica che potrebbe agilmente farla da padrona nelle pagine di questo romanzo cede però il passo ad un altro linguaggio, quasi esoterico, che trasforma la domanda autobiografica in un alfabeto di simboli e personaggi molto più affascinante da attraversare. 

Caterina è una giovane donna, anoressica, traumatizzata, scappata di casa e a casa tornata per occuparsi della madre, la quale, nel buio di un turbamento mentale patologico non meglio definito, alterna aggressività e dipendenza, rabbia e paura, in un andirivieni emotivo inevitabilmente devastante, per se stessa e per chi le sta attorno. Nei brevi dialoghi tra madre e figlia si intromette pian piano (complice lo sventurato antropologo Spina) un luogo del passato, Coragrotta, che sembra racchiudere già nel nome l’ossimoro del legame di sangue, il rifugio e l’oppressione. Se tornare indietro può spiegare alcuni tasselli di un presente doloroso, è pur facile che tanto inermi non siano nemmeno tutte le cose che in quell’“indietro” possiamo scoprire.

Si oscilla quindi tra il passato della madre e il presente della figlia, con una narrativa che ha del misterioso e dello stregonesco e che a tutti gli effetti ci tiene sulla pagina, su tutte le pagine – ha infatti il pregio non non essere inutilmente prolissa: e se è vero che una descrizione non dovrebbe mai essere casuale, l’autrice sa bene come dipingere Coragrotta e le storie ad essa legate. Si tratta di un paese che intreccia la sua esistenza con i boschi e i monti e le strade, un paese che immaginiamo coperto da un cielo grigio e circondato da ombre nere. Lì dove donne senza capelli signoreggiano sugli svardùni, gli “svuotati”, dove i lupi nudi si nutrono di piante di carne, rimaniamo con il fiato sospeso, come in preda a un presentimento, nell’attesa timorosa di un finale che renda conto tanto della mente in pezzi della madre quanto del soprannaturale che, insieme alla protagonista, non ci riusciamo a spiegare. 

“Il vestito grigio di Cariclò diventa un rumore di pioggia battente; l’orlo di trina si sforma, prendendo la trasparenza delle pozzanghere. In pochi secondi, ogni parte di lei si infrange sull’erba. I suoi pensieri ricadono sui tetti, adesso, una goccia alla volta. Mi colano sulla fronte, facendomi tremare.”

Immagini come questa, che non diventano mai “qualcosa che si può davvero dire”, giustificano il senso di lieve angoscia, di irrisolto, che si avverte leggendo questo libro. Ma allora cos’hai nel sangue? 

Nel sangue hai  la linfa degli alberi in mezzo ai quali è cresciuta tua madre. Nel sangue hai la sua paura per il corpo, per tutti i corpi. Nel sangue hai ciò che ha visto e che non avrebbe voluto vedere. Ma nel sangue hai anche il suo desiderio sconfinato e irrealizzabile di non farti del male e proteggerti.

Nel sangue hai la stregoneria di tua nonna, la sua preveggenza, i capelli lasciati sul quel monte, in quella terra e non un’altra.

Ma nel sangue, nel tuo sangue, c’è anche il coraggio di essere qualcosa di diverso, c’è la fine delle giustificazioni, di quell’incolpare eternamente i padri e le madri per i propri fallimenti. Ogni storia familiare è diversa, ha un suo peso estremamente specifico. Ma Giovagnoli prova, nel suo alfabeto misterioso e affascinante, a ricordarci come le radici servano sì alla pianta per non cadere ma anche e soprattutto perché i suoi rami si protendano verso un altro cielo, tutto da scoprire.

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Gaia Giovagnoli, Cos’hai nel sangue, Nottetempo, Milano, 2022

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