Borgo Vecchio

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“VENERDÌ RE-VERSO

“E quando il vetturino nel sospetto di quel silenzio si voltò […] li vide così soli al mondo e li riconobbe nel capriccio di Dio e nella violenza senza rimedio della natura.”

 

“Borgo Vecchio” è uno di quei libri che quando li consigli insieme dici “beato te, che lo leggi per la prima volta”. Perché vorremmo rileggerlo e subito ma siamo incastrati in un  stregoneria bizzarra, fatta di tristezza e speranza, non capiamo cosa sia successo davvero ma questo libro si è appena installato nel nostro cuore – con grazia e una certa sfrontatezza, come a dire: non ti dimenticherai di me.

Parliamo di come è costruito questo incantesimo, che tanto raccontarlo non servirà a farlo svanire, è come un trucco di magia senza trucco e quindi, in definitiva, è solo magia. “Borgo Vecchio” è un posto dell’anima e della memoria e dentro ci abitano i mostri e i santi, tutti lì, nella vita del Quartiere. Li (ri)conosciamo uno dopo l’altro, come figurine che si staccano dallo sfondo e ognuna ne porta con sé un’altra e un’altra ancora. Piano piano prende forma questo quadro che muta e si precisa e si sposta ogni volta che sbattiamo le palpebre: e allora iniziano a collegarsi le storie degli abitanti, personaggi piccoli e epici insieme, e cominciamo a capire che nessun pezzo, nessun profumo, nessun gesto è lì per caso.

Più andiamo avanti, più ogni riga di quel tempo spezzato si rimette al suo giusto posto e da quelle note sparse ecco una melodia (qualcosa che ricorda la suite de Il lago dei cigni) – c’è la dolcezza di Celeste, con Mimmo che resta a “sospirarla ben oltre i tempi consigliati dall’amore”, c’è Cristofaro e le botte disperate di suo padre, Carmela la puttana e la sua Madonna del Manto, la combriccola degli animali e gli sbirri, ridicoli e infami, il buon cavallo Naná, il profumo del pane e il diluvio e Totò, Totò il rapinatore. In un crescendo non privo di umorismo Calaciura piega la lingua italiana e ne fa una cosa buona, amorevole, uno strumento di compassione infinita: tutti sono perdonati e anche la morte è misericordiosa e soccorre chi non può essere salvato. Tragedia, poesia e anche, insperata, la speranza: leggere questa manciata di pagine è come ricevere in regalo una bellezza.

“Correva Totò con la felicità di farla franca, affrontando velocissimo le curve degli stradoni, con l’aria che sibilava tra i denti del suo sorriso, i piedi toccavano appena la strada. Sentì l’odore del mare, si immaginò a casa. E mentre rallentava nella prima luce dell’alba si convinse di essere più veloce dei proiettili”. Lo avrebbe amato de Andrè, ci piace credere, lo abbiamo amato, “con un dolore pungente al cuore”, anche noi.

Recensione di Delis 

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Giosuè Calaciura, Borgo Vecchio, Sellerio, Palermo, 2017

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