Titanio

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I libri scelti da Andrea Salonia

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Non è perfetto, ma la perfezione sa essere anche tanto noiosa.

Ed è duro, marmoreo, capace che ti appoggia carichi da tonnellate sul cervello e sul cuore, così, come fossero piume, e invece non lo sono affatto. E poi è cupo, ma pure arioso, fin spensierato. C’è del torbido e c’è del limpido. Ecco, queste le sensazioni immediate dopo la lettura di Titanio, scritto da Stefano Bonazzi e pubblicato nella collana Perkins, per i tipi di Alessandro Polidoro Editore. È un romanzo denso, una di quelle materie a massa elevata, uno di quei tipici esempi del: pesa più un chilogrammo di neve o un chilogrammo di ferro? … dove la neve si scioglie e il ferro no. È pregno di tanto, ti cattura e non ti lascia più fino alla fine, pur se un poco quel tanto si affastella e lambisce il troppo.

C’è la storia di Fran, che di nome fa Francesco e solo in quel modo vorrebbe che lo si chiamasse, scandendo distintamente tutte le nove lettere e le tre sillabe: Fran ce sco, e non solo la prima, perché il nome per intero attribuisce dignità a cose e persone. La prima silla, invece, è usata dai genitori, e dal piccolo mondo che lo circonda, che nulla ha di quello antico di fama letteraria. Nulla in senso assoluto. È un mondo losco, brutale, feroce, con regole severissime nel bel mezzo di un inferno di malaffare e di povertà concreta, culturale ed emotiva, dove quasi le regole non te le aspetteresti neppure. È un casseggiato quartiere mondo, come di alcuni che le cronache hanno portato spesso alla ribalta. Uno di quelli con nomignoli che fan pensare a cose lievi, ma lo sono solo nei pensieri: qui si chiama la Ciambella, e rimanda subito alla circolarità di uno spazio chiuso, forse perfino protettivo: no, anzi.

C’è la storia di Stella, bella di quella bellezza primigenia, come la scoperta dell’amore pulito degli adolescenti, l’eccitazione che non si può fermare, le spiagge con il mare davanti quando ti immagini cosa ci sia dall’altra parte, chi ci abiti, cosa stia sognando nell’esatto momento in cui lo stai pensando. E poi, con le parole che scorrono sulla carta, scopri che la vicenda di Stella è tanto terribile da non poter essere vera. Proprio così: la più parte degli accadimenti di Titanio sembrano a tal punto drammatici da portare il lettore a considerarli eccessivi, finzione in un romanzo di realtà e non di fiction. Per questo motivo Titanio ti cattura, per quel: non è certo possibile che ciò accada e che gli accada anche quello, e il novero delle brutture che si aggiungono alle altre brutture è tale che ti stringe forte il collo e giunge vicino al soffocarti.

E poi è la storia nella storia; del losco nel dramma; della città malvagia e del tutto cieca alla tragedia delle vite che vivono senza essere vissute; della claustrofobia perversa e angosciante dell’ennesimo nucleo famigliare fobico inquietante ossessivo: cattivo. Dei genitori che ti chiedi perché abbiano messo al monto una creatura per poi ucciderla, secondo dopo secondo, neppure giorno dopo giorno. È una narrazione già narrata? Sì. È una storia già letta? Sì. Tuttavia, qui è differente, talmente oltre da divenire efficace e veritiera. E chi la racconta sono Francesco e il suo “educatore”, altro personaggio-persona-personaggio per quella ambivalente caratteristica che ti porta a riflettere sul fatto che il narratore abbia un suo punto di vista, dei sentimenti suoi proprio, di quelli che Bonazzi ben scrive che non si possono mettere su carta, perché non c’è modo di descriverli davvero per ciò che sono, neppure usando tutte le parole del mondo.

Insomma, penso Titanio vi potrà piacerà, perché “ogni bambino dovrebbe vederlo almeno una volta il mare”.

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Stefano Bonazzi, Titanio, Alessandro Polidoro Editore, Napoli, 2022

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