Itaca per sempre

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“VENERDÌ RE-VERSO

“A poche persone gli dèi concedono il privilegio di coprire con la speranza lo spazio che c’è tra un giorno e un altro giorno”.

 

Esiste, tra le pagine di quell’opera immortale che è l’Odissea, la descrizione di un istante perfetto: è il momento in cui Ulisse e Penelope si ritrovano nel loro tempo di amanti, si riconoscono in una domanda e in una risposta, le loro storie parallele riunite in quell’incastro di attimi. È il momento di silenzio in cui termina una melodia che è andata finora accelerando, con i suoi crescendo, i suoi movimenti, le sue pause e che, dopo un ultimo virtuosismo, culmina in una nota, immobile e sospesa nel silenzio che la segue. Il tempo degli innamorati, l’unico in cui due esseri abitano lo stesso presente, in cui non sono riversi sui ricordi o protesi sul domani. 

Portate fuori il letto per l’ospite –

E Ulisse sa che Penelope non ha tradito, altrimenti non varrebbe come prova.

Non è possibile, l’ho intagliato con le mie mani nel grande ulivo – 

E Penelope riconosce Ulisse, unico custode di quel segreto.

Ultima nota. Silenzio. Perfezione.

Quindi viene da chiedersi: cosa si può aggiungere? Si può? No! Non si può!

Sì può invece e giustamente essere scettici o quantomeno reticenti nel prendere in mano il libro di Malerba, pur con quel suo titolo così struggente, pregno di nostalgia e speranza e determinazione (ma anche minaccioso, presago). Itaca, terra del ritorno, di addii e ricordi, terra anelata di illusioni precarie, terra d’amore e rimpianto, terra abbandonata, difesa, ritrovata. Itaca è un punto nella geografia dei sentimenti, “Itaca non c’è”, “Itaca è il tuo ultimo scopo” – το φθάσιμον εκεί είν’ ο προορισμός σου. È partenza e arrivo, è i passi che da lei ti hanno allontanato e che a lei ti hanno riportato; Itaca è l’incontro con la parte di te forse dimenticata. Oh, andiamo, si può non leggere un libro con un titolo così? C’è da farsi male al cuore, a leggerlo e a non leggerlo. 

Di quel momento perfetto, di quell’isola che c’è, eccome se c’è, l’autore raccoglie gli indizi, le paure, le angosce più insidiose  che pure sono servite per arrivare proprio ; tutta la voglia, tremenda, straziante voglia di scappare, di arrendersi, tutte le lacrime – le lacrime che un Eroe non verserebbe ma un uomo sì, e che Eroe è quello che non ha paura, dove sta la grandezza nello sconfiggere un avversario che non si teme? 

E poi (e soprattutto) Itaca è la donna che è rimasta, che ha intrecciato i fili del tempo per rimanere non solo in piedi ma imperiosa nella sua dignità e nella sua libertà. È Penelope che è regina di se stessa prima che del suo palazzo e della sua terra, che non può permettersi di dimenticare perché orgoglio e fierezza l’hanno resa dura senza privarla del cuore, l’hanno tenuta salda come una statua di ghiaccio attorno a un fiore: e se tu sei tu, Ulisse, poco m’importa delle tue (dis)avventure, ché anche io ho penato le mie, pur ferma, pur qui, ho combattuto le mie battaglie senza consolazioni, e quel fiore che tanto ho protetto dovrai meritarlo ancora una volta. “Le verità del mondo sono tante, ma vale soltanto quella che tu hai scelto.” Quella che hai scelto per tornare o per restare. E se quel momento è perfetto, non si può ugualmente privare il cammino di tutti i dubbi, delle insicurezze, dell’intima lotta che ha condotto la vita a scolpire quell’istante

Recensione di Delis 

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Luigi Malerba, Itaca per sempre, Mondadori, Milano, 2015 (prima edizione 1997)

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