La fortuna

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I libri scelti da Andrea Salonia

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La si ama o la si odia.

Non c’è un grigio nei sentimenti che si possono nutrire per Valeria Parrella. Proprio non c’è: è una questione di bianchi o di neri.

Lo credo con forza, e per questo son partito con l’amare: io faccio parte di quelli che son stati mosche dentro la pancia di quella sua balena; così l’abbiamo scoperta, bevendone le parole, tutte, una dopo l’altra, lettere fatte a sillabe e poi parole smozzicate che si facevan frasi, spruzzate in cielo attraverso lo sfiatatoio poco dietro la zucca tonda del grande cetaceo.

Anzi, son sempre di quelli che l’hanno amata molto, nel tempo e negli scritti, ma non proprio in tutto tutto – spero non me ne abbia, per tanto poco – e poi si sono rituffati in un magnifico azzurro turchese acquamarina che faceva pensare a cielo e mare e sole e trasparenze, ed eccoci qui, ora, a guardare quegli occhi un poco magati che par escano dalla copertina del suo La Fortuna, edizioni Feltrinelli. Occhi che scrutano, che indagano, te, il tempo che verrà, la verità, le fortune.

Li conto: ho messo ben 15 piccoli adesivi segna pagine e segna pensieri, li si possono osservare sul taglio concavo del libro.

Son arancioni e stan lì a indicarmi tutti i momenti importanti che ho vissuto leggendo La Fortuna, che non sta per “il fato”, ma è il nome di una nave, a vela e a remi, laggiù nel tempo della Roma imperiale. In verità, questo suo ultimo è un romanzo di formazione, e racconta esattamente del fato, della fortuna, di un destino interpretato e cercato, e di quanto accadde alle vite di molti, terminate, anzi letteralmente sterminate, sotto le ceneri e i lapilli, il magma risalito con violenza dal cuore della terra esplosa con l’eruzione del Vesuvio. Del Vesuvio di quella famosa eruzione, e del tempo che divenne immoto a Pompei, rendendo immortali le esistenze, senza che una sola stilla di sangue potesse continuare a scorrere nelle vene delle genti e delle bestie ai piedi del vulcano che d’improvviso si era risvegliato. Un fenomeno misterioso, fu, quasi una magia.

E la fortuna dove starebbe, ci si potrebbe chiedere? Là, in mare, sul ponte della nave che da lei prese nome. Là, in mare, sufficientemente lontano dal disastro, dal fuoco e dalle fiamme, dai miasmi, e da quella terra che aveva cambiato sé stessa, il suo profilo, i suoi contorni. Così fino a oggi che la conosciamo in quel modo. Sufficientemente lontano ma tanto vicina da soffrirne, che è un poco come il vivere le cose, un poco discosti, quindi salvi, ma con i devastati effetti dello tsunami che segue al terremoto.

Eppure non è di questo che La Fortuna mi ha parlato.

Mi ha raccontato dell’inquietudine di Lucio, la cui rotta era facile e difficilissima insieme: dove nessuno fosse andato, per mare, con l’orecchio teso, aspettando che soffi. Cosa? Il vento? Una fortuna? E tutto questo sul ponte, a bordo della nave, di quella o altre ma comunque lì, fermo nel presente, vivendo come inevitabile una scelta, quell’unica che il suo animo gli suggeriva di prendere, lontano dalla costa, dalle consuetudini, dalle decisioni altrui sulla vita che Lucio (e noi?) avrebbe vissuto.

Mi ha narrato del finire che non finisce, e per quello è bastante un ramoscello che qualcosa di nuovo giunga ad aprirsi, anche laddove tutto sarebbe stato da bruciare.

Mi ha commosso per quel sentire misterioso che è la naturalezza della condivisione degli accadimenti e del dividersi della sofferenza.

Mi ha fatto pensare alla verità che è racchiusa nell’idea che si creda più a ciò che abbiamo sempre veduto che a quanto stiamo vedendo, che il passato spesse volte – o forse anche sempre – abbia maggior valore che il presente.

Mi ha inorgoglito il leggere un pensiero che da docente ho fatto mio da tempo, nel tentativo spesso fruttuoso di far proseguire quanto si sia imparato in precedenza; questa la domanda: hai studiato per diventare una persona importante? no, ho studiato per sapere le cose; è perché sei diventato quella persona importante? perché sapevo le cose.

Finisco: queste sette parole sono sufficienti perché leggiate La Fortuna, facendovene un’idea persona: “Nella vita il teatro è sempre aperto”.

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Valeria Parrella, La Fortuna, Feltrinelli, Milano, 2022

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