“VENERDÌ RE-VERSO”
“E ciò che non poteva essere spiegato, neppure con una fervida immaginazione, turbava l’ordine necessario.”
Questo non è un libro, bensì un incontro.
Innanzitutto l’incontro dell’autrice, Francesca Valente, con l’amico e psichiatra Luciano Sorrentino.
È poi l’incontro con un tema, quello della salute mentale, che crea sempre qualche problema all’attenzione pubblica: si fa un po’ come coi matti, si dice “sì, sì, va bene” e poi si gira la testa dall’altra parte il più in fretta possibile. Problema archiviato. Ma, e soprattutto, è l’incontro con “i paz” del Repartino, ossia uno dei primi esperimenti in Italia di reparto aperto, nato a Torino dopo la promulgazione della Legge 180 che impose la chiusura delle strutture manicomiali.
Si tratta di incontri profondi e significativi: Valente recupera quattro anni di “rapportini”, quei documenti non ufficiali tramite cui medici e infermieri si scambiavano informazioni informali sull’andamento del reparto; tra una notazione e l’altra, grazie ai lunghi colloqui con Sorrentino, ricostruisce le storie dei degenti, ma anche degli infermieri e di Sorrentino stesso. Perché, come ben sottolinea nell’introduzione, in quelle pagine c’è “un’umanità che racconta un’altra umanità, con benevolenza e un sincero sforzo di comprensione”.
La domanda che ci facciamo, per quanto banale, è che senso possa avere recuperare oggi vicende legate a un periodo storico-sociale così definito quale fu quello della cosiddetta Legge Basaglia. Lo spiega be e il podcast “Tutta colpa di Basaglia” lungo il quale si snoda il racconto parallelo di quegli anni e delle declinazioni che il supporto psichiatrico assume oggi in modi talvolta molto divergenti tra loro. Molti degli insegnamenti basagliani, come emerge dal libro, non furono e non sono di facile applicazione, soprattutto quello che fu il primo e fondamentale cardine di quella rivoluzione: rispettare la volontà del paziente e la sua libertà di scelta.
I ritratti che Valente ci propone sono dolci, a volte strazianti, sempre: umanissimi. Non banalizza la sofferenza, il disagio psichico dei pazienti, le difficoltà degli infermieri; più di tutto non banalizza la storia individuale e collettiva, ne fa anzi causa contestuale imprescindibile per comprendere tutta la portata di quel cambiamento epocale. Non sono mai vite narrate nel vuoto – proprio il vuoto attorno a chi affronta un disagio mentale (che talvolta, a voler guardare bene, è “solo” una profonda manifestazione di in-sofferenza rispetto a un contesto del tutto o in parte disallineato rispetto a desideri e necessità legittimi) è uno dei fattori principali di recrudescenza e cronicizzazione dei malati. La comunità, il non- isolamento, l’ascolto dell’umano desiderio di amore e riconoscimento emergono da queste pagine con delicatezza e partecipazione, senza toni professorali o accuse, ma come una testimonianza dovuta.
“È stato perché nessuno dimenticasse” scrive l’autrice riferendosi all’archivismo tenace dell’infermiere Tornior. E allora la domanda torna ma seguita da una risosta cristallina: leggiamo questo libro per non dimenticare queste vite e le loro battaglie, ma anche per farne bussola in mezzo a venti ancora tanto burrascosi.
Recensione di Delis
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Francesca Valente, Altro nulla da segnalare, Einaudi, Torino, 2022